Chicco Evani, una vita da predestinato
Van Basten viene atterrato ai limiti dell’area. Manca ormai poco alla fine della partita. Da una parte il Milan di Arrigo Sacchi, dall’altra l’Atletico Nacional de Medellin. Ci si gioca la Coppa Intercontinentale. Il portiere «scorpione» René Higuita prepara la barriera. In un primo momento sembra che sia Roberto Donadoni a calciare, poi ecco la magia. E il mago sarà Alberico «Chicco» Evani, che riesce a dare il giusto effetto alla palla e ad insaccarla. I rossoneri si laurearono campioni del mondo per club nel 1989. È solo una delle tante prodezze di un giocatore che ha fatto della pacatezza e della funzionale praticità un vessillo vincente. Ora la sua vita di sportivo viene raccontata in un libro, «Non chiamatemi Bubu»,scritto insieme alla giornalista Lucilla Granata che verrà presentato oggi, ore 18, al Centro sociale di Roccapiemonte. L’evento è organizzato dall’associazione Fedora,con il Comune e le società sportive territoriali. L’attuale assistente di Roberto Mancini in Nazionale ne ha tante da ricordare. Dagli esordi con la Massese, all’approdo nel Milan con cui vincerà tutto: tre scudetti, due Coppe dei Campioni, due Intercontinentali. Ha conosciuto la durezza della B, l’onta del fallimento societario milanese e il passaggio dal presidente Felice Colombo a Silvio Berlusconi che riuscì a risanare le casse della società. Un’altra immagine sarà quella in maglia azzurra, nel caldo torrido del Rose Bowl di Pasadena, durante la finale di Coppa del Mondo contro il Brasile. Una storia che finì con la palla a parabola impazzita calciata dal «Divin Codino» Roberto Baggio, ma che vide Evani andare a segno nella roulette dei rigori. «Sacchi era molto duro e pressante non solo in campo e durante gli allenamenti ma anche quando i giocatori pranzavano – ricorda il calciatore toscano parlando di Usa 94 – e se durante il pranzo i giocatori parlavano un po’ di più, diceva che avrebbero perso le partite. Infatti l’Italia fallì l’esordio con l’Irlanda». Una figura quella di Sacchi che fu determinante per la sua carriera. «Ricordo che un giorno a Milanello aveva allenamento anche la Nazionale che era in ritiro. I giocatori della Nazionale prendevano in giro i giocatori del Milan per i loro carichi di lavoro eccessivi. Sacchi disse: “Prendeteli pure in giro, ma se avete investimenti da fare, fateli, perché alla fine noi vinceremo tutto”. Fu così. L’amore per il calcio, del resto, è sempre stato il pilastro della sua vita. «Più che io a scegliere il calcio, è stato il calcio a scegliere me – dice – Non mi ricordo di aver fatto altro da bambino, era una passione sfrenata e giocavo tutto il giorno. “Non Chiamatemi Bubu” non nasce come libro, ma come un’urgenza mia di mettere nero su bianco tante emozioni. Poi con Lucilla abbiamo fatto ordine nei miei pensieri, e ne è uscito un racconto di vita e disport».
fonte Il Mattino